Per la rubrica testimonianze oggi pubblichiamo la storia di Thiago
Nei giorni scorsi ero con un gruppo di pazienti della Clinica De Marchi a Sanremo in barca a vela, in uno dei momenti di vacanza che la Fondazione De Marchi organizza
periodicamente. Eravamo tutti poco avvezzi alla navigazione a vela e quindi ben saldi alla barca quando ho visto Thiago andare a prua e esibirsi in movimenti di capoeira in mezzo
al mare. Si perché Thiago è così, l’atleta sempre pronto a superare i limiti. Ma Thiago è un ragazzo talassemico e di limiti gli avevano detto fin da piccolo che ne avrebbe avuti,
raccomandazioni che non deve aver seguito alla lettera. Scesi dalla barca ci siamo messi a chiacchierare e mi ha raccontato la sua storia. Thiago ha 25 anni e, nato a Milano, ha
origini brasiliane che spiegano il nome e la sua passione per la capoeira, l’arte marziale tipica del brasile. Già all’età di sette mesi era in cura in De Marchi, di quel primo periodo
non ricorda certo molto, se non che la sua mamma fin da piccolo ha sempre cercato di non faro sentire malato, malgrado la diagnosi di talassemia. E Thiago malato non si è mai
sentito, doveva saltare la scuola una volta al mese per fare l trasfusioni, ma credeva fosse normale, in fondo anche i suoi compagni ogni tanto saltavano la scuola. La sera doveva
fare la “pompetta” ferrochelante ma come poteva sapere che i suoi compagni non dovevano farla. Crescendo naturalmente ha capito di essere talassemico, ma non malato.
Per lui la talassemia non è mai stata una malattia ma una sua specifica caratteristica che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita ma mai limitandolo. Anche i primi ricordi della
Clinica De Marchi non sono i ricordi di un bambino malato, si ricorda la maestra giochi vestita da pagliaccio con cui giocava. In fondo le viste in Clinica ogni 20 giorni, per
sottoporsi alle trasfusioni, sono sempre state una festa, un giorno speciale che gli è sempre piaciuto, perché era l’occasione per fare lavoretti e giocare. Anche dover
prendere, attraverso un ago, tutti i giorni per otto ore al giorno il farmaco ferrochelante non è mai stato per lui un problema, sapeva che lo avrebbe fatto star meglio, che era un
cosa che doveva fare, come lavarsi i denti e dare il bacio della buona notte prima di andare a dormire. Quello che per tanti altri bambini della sua età sarebbe stata una
brutta terapia, per lui era una normale routine e le volte che i genitori si dimenticavano, era lui a ricordare che doveva farla. Con l’età è cresciuta anche la sua voglia di mostrare a
se e a tutti la sua normalità, dimostrare che la talassemia non lo avrebbe limitato.
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