Per chi, almeno una volta, è stato donatore di sangue, quello che succede dal momento in cui si prende la decisione di donare a quello in cui viene effettuato il prelievo, è cosa nota.
Ma anche a chi non ha mai donato, il processo per fare un prelievo è abbastanza familiare. Ciò che meno si conosce, invece, è quello che succede al sangue una volta che è stato estratto, perché, prima di poter essere utilizzato per una trasfusione, esso deve subire una serie di processi che ne separano le componenti, ne verificano le qualità e, in ultimo, ne garantiscono la perfetta conservazione.
Bisogna sapere, infatti, che l’utilizzo del sangue così come viene prelevato (il cosiddetto sangue intero) è molto raro, perché nel corso degli anni si è constatato come sia molto più comodo ed efficace l’uso separato delle sue singole componenti.
Queste sono, fondamentalmente, il plasma, i globuli rossi e le piastrine, e possono essere separate secondo precisi procedimenti di natura sostanzialmente meccanica.
Il primo ambiente che il sangue incontra, una volta uscito dal corpo del donatore, è quello di una sacca di raccolta sterile, monouso, all’interno della quale, in genere, sono già presenti un liquido anticoagulante e ulteriori sostanze che garantiscono una conservazione ottimale del sangue. Oltre a questo, una piccola parte di sangue viene raccolta in alcune provette destinate agli esami di laboratorio di controllo prescritti dalla legge.
Le sacche di sangue vengono mandate, quindi, al centro di servizi trasfusionali di competenza per ogni specifico territorio. Qui, nel giro di poco tempo, vengono messe in grosse centrifughe che, sfruttando la gravità e il peso di ciascuna delle componenti presenti del sangue, procede alla loro separazione
Esse si sedimentano sovrapponendosi in tre strati all’interno della sacca stessa.
Il successivo processo prevede l’utilizzo di apposite macchine spremisacca automatiche. Queste spremono la sacca originaria contenente il sangue centrifugato in diverse sacche satelliti, sempre sterili e sempre monouso, collegate ad essa.
Al termine del processo non si ha più il sangue intero prelevato dal donatore, ma si hanno diverse sacche, più piccole, ognuna delle quali contenente un emocomponente che può essere utilizzato in terapie più mirate. Altro vantaggio della separazione delle componenti del sangue è quello di poterle conservare, separatamente, nella maniera più adatta.
I globuli rossi, per esempio, presenti in quelle che, tecnicamente, vengono definite emazie concentrate, sono conservati a una temperatura di + 4 gradi centigradi (con una tolleranza di più o meno 2 gradi) in frigoemoteche automatiche. In questo modo il tempo di conservazione può raggiungere i 42 giorni dopo i quali il sangue, nonostante l’utilizzo di alcuni agenti conservanti, non è più utilizzabile.
Il plasma, invece, deve essere immediatamente congelato a una temperatura di – 80 gradi centigradi, unico modo per mantenere efficaci i fattori di coagulazione presenti. In queste condizioni, il plasma ha una durata di un anno ( 6 mesi in caso di conservazione a – 40°). Tutto il plasma prelevato, comunque, viene utilizzato in tempi molto più brevi. La maggior parte di esso viene inviato ad aziende specializzate che, attraverso lavorazioni più specifiche e sofisticate, estraggono altri emoderivati da utilizzare in maniera ancora più mirata per diverse terapie.
Delle tre componenti primarie separate dal sangue intero, le ultime da prendere in considerazione sono le piastrine. Queste, una volta separate, non possono essere usate singolarmente, in quanto, per avere una dose a livello terapeutico, devono essere unite insieme ad altre unità singole. La durata di conservazione delle piastrine è molto più limitata (5 giorni) e avviene in un apposito macchinario chiamato “piastrinoteca”, che mantiene il componente in continua agitazione a una temperatura controllata di + 22 gradi.
Quelli visti fin qui sono i cosiddetti componenti di primo livello, estratti dal sangue prelevato dal donatore. Esistono, però, altri emocomponenti di secondo livello che possono essere ricavati dopo ulteriori lavorazioni come il lavaggio, la filtrazione, l’irradiazione o l’inattivazione microbiologica. L’utilizzo di questi componenti di secondo livello avviene nei casi in cui la trasfusione di componenti standard ha creato effetti indesiderati o quando si vogliono prevenire alcune specifiche complicazioni legate alle trasfusioni.
Autore: Christian Vianello
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